parole in cella

Le parole in ...cella

Le parole che non dicono nulla, in questo senso  "in cella". Sono mute e chiuse nel loro vuoto interiore...

     Mi litigai con un collega perché in un suo saggio aveva posto questo titolo: La comunicazione non verbale

Tu scrivi, gli dissi, dei linguaggi con cui l’essere umano comunica, in particolare i contenuti del tuo saggio sono i linguaggi del corpo: mimica, gesti, postura. Perché hai posto un titolo che invece di dire semplicemente, e utilmente, ciò di cui tratti, richiama l’attenzione su ciò di cui non tratti. È un avvertimento? Attenti lettori, qui non si tratta della comunicazione verbale! Cosa vuoi, svegliare la curiosità? Qualcuno che sa cosa intendi dire con la definizione al negativo, potrebbe infastidirsi ed esclamare: "Ma guarda un po’ questo studioso, che scrive di una cosa cui, lui per primo,  non dà importanza al punto che non la definisce per quello che è, come se non meritasse una definizione,  ma la contrappone ad altro, che ritiene più importante. 

Questo gli dissi.

Il discorso sulle definizioni al negativo di alcuni concetti può ampliarsi, e così si raggruppa una gran quantità di parole che dimostrano in primo luogo la povertà della lingua. Il dire qualcosa e il negarla, come il titolo del saggio del collega, si attua pure con una semplice lettera: la lettera a, detta alfa negativa o privativa (una funzione che tale lettera aveva in greco - dal dizionario), perché a volte viene usata con la funzione di togliere ciò che il termine propone, in quanto non c’è una definizione che presenti semplicemente il concetto. Forse non si tratta soltanto di povertà della lingua, probabilmente c’è dell’altro e sarebbe interessante capire cosa c’è dietro. Per esempio il caso della “comunicazione non verbaleâ€, dal momento che i termini ci sono per dire di quali linguaggi si tratta (mimica, gesti, postura), ci sarà un motivo perché molti considerano la comunicazione verbale da una parte e dall’altra tutto il resto che non è verbale.

Corro agli esempi, solo alcuni naturalmente, perché non sono pochi.

Attenzione però, a volte l’alfa privativo è funzionale per individuare un problema e curarlo, si vedano i termini medici: a-fagia, difficoltà nel deglutire; a-fasia, difficoltà a esprimere e a comprendere le parole. Cerco di individuare qualche termine che mi interessa per dimostrare che la definizione al negativo non favorisce la comunicazione dei concetti.

Aclassismo, teoria o tendenza politica che non considera determinante la contrapposizione tra le classi sociali. Questa definizione non dice che cosa si considera determinante al posto della contrapposizione delle classi sociali e noi capiamo e non capiamo.

Acritico, privo di senso critico. Il soggetto avrà qualcosa al posto del senso critico?  Per evitare definizioni al negativo nel parlare di alcune persone si dice : diversamente abili. Forse è giuto ma non risolve il problema : in cosa è abile questa persona?

Atipico, non è tipico, diverso dal tipo normale (dal dizionario). E perché non definirlo con ciò che lo distingue? Qualcosa avrà pure che gli altri non hanno. No, è un diverso e basta! Viene il sospetto che definizioni di questo tipo siano alla base del rifiuto degli altri. Secondo alcuni studiosi (cfr Vygotskij) il linguaggio e il pensiero si influenzano reciprocamente.

Ateo. Con questo termine si riproduce l’atteggiamento di chi parla di comunicazione non verbale. Per qualcuno, anzi per molti esistono gli dei, e per gli altri? Gli altri sono “senza dioâ€, atei. E cosa hanno al posto degli dei? Cerco di scoprire cosa c’è sotto questa parola, qual è l’atteggiamento di chi la utilizza. 

Dunque un esempio: Antonio dice che Mario è ateo, ma Antonio parlando di Mario non può fare riferimento a qualcosa che esiste per lui e non per Mario. Parlando di Mario Antonio ha l’obbligo di fare riferimento a ciò in cui Mario crede. 

Ai tempi delle crociate cristiani e musulmani  si accusavano reciprocamente di essere infedeli solo perché gli uni non credevano in ciò che credevano gli altri.

Se Antonio non sa in cosa Mario crede, glielo deve chiedere, gli deve dire: 

Antonio: - Io credo in un dio, tu in cosa credi?-

Mario, per esempio potrebbe rispondere: - Credo nell’essere umano -.

Purtroppo gente come Antonio non tiene conto della risposta di Mario e conclude in questo modo:

Antonio: - Tu non credi in Dio ma Dio crede in te - che significa: tu caro Mario puoi pensare quello che ti pare, ma dio esiste e non solo ti perdona, ma crede in te…

Al che Mario ha un primo impulso, vorrebbe esprimersi così: “io prendo atto di ciò in cui tu credi e ti rispetto, perché tu invece non solo non mi accetti, sembra proprio che non mi ascolti?â€.

Meditando su ciò che vorrebbe replicare, Mario si rende conto che Antonio è incapace di ascoltare, quindi comprende che è inutile parlare, perciò si allontana giurando a se stesso di non frequentare più una persona prepotente e - cosa più grave – che non sa di esserlo. 

Dal che si vede quali sono gli effetti delle parole che non dicono. Forse se ci fosse una parola che dicesse chiaramente ciò in cui Mario crede, Antonio e Mario diventerebbero amici.

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